Recital di Canto al Teatro alla Scala di Milano con Fabio Sartori
Teatro alla Scala, Milano
Domenica
24 febbraio 2019 ~ ore 20
Recital
di Canto 2018/2019
In memoria di Bonaldo Giaiotti
Tenore
FABIO
SARTORI
Pianoforte
MZIA
BACHTOURIDZE
Tommaso Giordani
Caro mio ben
Antonio Caldara
Sebben crudele
Vincenzo Bellini
Malinconia, ninfa gentile
Vanne, o rosa fortunata
Ma rendi pur contento
Vaga luna che inargenti
Ma rendi pur contento
Vaga luna che inargenti
Stefano Donaudy
O del mio amato ben
Perduta ho la speranza
Perduta ho la speranza
Vaghissima sembianza
Francesco Paolo Tosti
Ideale
‘A vucchella
Donna, vorrei morir
Non t’amo più!
L’alba separa dalla luce l'ombra
‘A vucchella
Donna, vorrei morir
Non t’amo più!
L’alba separa dalla luce l'ombra
Luigi
Denza
Occhi di fata
Occhi di fata
Pietro Mascagni
Serenata
Stanislao Gastaldon
Musica
proibita
FABIO SARTORI
Nato a Treviso, ha
debuttato nel 1996 con La
bohème al
Teatro La Fenice di Venezia. Nel 1997 ha debuttato
alla
Scala nella Messa
da Requiem di
Verdi e nel Macbeth
diretto
da Riccardo Muti, titolo inaugurale della Stagione
1997-98.
Nello stesso anno ha inaugurato anche la Stagione
del
Teatro La Fenice e del Comunale di Bologna, rispettivamente
con
Simon
Boccanegra e
Don
Carlo.
Nel 1999 è
stato
ancora protagonista del Simon
Boccanegra sotto
la direzione
di
Claudio Abbado in occasione del suo debutto a
Berlino,
titolo ripreso poi a Vienna e a Chicago.
Negli anni
successivi ha consolidato la sua carriera e ha arricchito il
repertorio con i più celebri ruoli tenorili fino a Pagliacci,
passando attraverso i grandi titoli donizettiani e senza mai
trascurare il suo amore per i grandi capolavori verdiani a cui,
quattro mesi orsono, si è aggiunto il debutto nel Trovatore
e
che nel 2020 culminerà con Otello.
Lavora con i più
grandi direttori d’orchestra ed è ospite dei principali teatri di
tradizione italiani e internazionali. Con la Scala ha un sodalizio
artistico molto intenso e ne ha calcato il palcoscenico in numerose
occasioni: La
bohème (2008
e 2017), I
due Foscari (2009),
Simon
Boccanegra
(2010, 2014 e 2018), Attila
(2011),
Oberto
conte di San Bonifacio (2013,
in occasione delle celebrazioni verdiane), Aida
(2013,
2015 e 2018), Don
Carlo (2013)
e Tosca
(2015)
oltre che in tournée con Messa
da Requiem di
Verdi a Tokyo nel 2000 e Buenos Aires nel 2013 e Simon
Boccanegra a
Seoul, Shanghai e Mosca, nel 2016. Dopo il grande successo personale
come Foresto nell’Attila
che
ha inaugurato la Stagione 2018-2019 sotto la direzione di Riccardo
Chailly, Sartori tornerà alla Scala a giugno per I
masnadieri diretti
da Michele Mariotti, spettacolo che a luglio sarà anche in tournée
a Savonlinna, in Finlandia.
Tra
i suoi prossimi impegni Pagliacci
a
Vienna, Turandot
a
Monaco di Baviera, Macbeth
a
Berlino, Otello
a
Firenze.
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44
Intimi concenti:
percorsi nella vocalità
italiana da camera
di Paola
Camponovo
Volendo individuare
un percorso lungo due secoli nella vocalità italiana non operistica,
in quella legata a esigenze di gradevolezza e cantabilità e
all’espressione di sentimenti e passioni, ci si imbatte sia in
personaggi illustri sia in compositori la cui biografia e la cui
opera sono assai meno conosciute. È proprio questo il caso di una
delle più note ariette ereditate dal Settecento, Caro
mio ben,
la cui paternità resta tuttora ambigua. Ricondotta in questa sede a
Tommaso
Giordani
(nato intorno al quarto decennio del secolo XVIII e morto all’inizio
del successivo), è alternativamente attribuita a Giuseppe Giordani
(Giordanello),
omonimo del padre del precedente, o a quest’ultimo o addirittura a
Georg
Friedrich Händel. Impossibile, del resto, non notare la parentela
del brano in questione con il famoso Ombra
mai fu
del compositore tedesco, assai celebrato in Albione, proprio negli
stessi anni in cui Giordani vi si trasferì. Fu ancora Alessandro
Parisotti (come nel caso precedente), a riportare in auge a fine
Ottocento, con la sua raccolta di Arie
antiche,
un’altra aria ‒ ormai ben conosciuta ma allora assai meno nota ‒
di Antonio
Caldara
(1670-1736): Sebben
crudele,
tratta dal dramma pastorale La
costanza in amor vince l’inganno
e ridotta per il pianoforte dall’organico originale con ritocchi e
integrazioni.
Reminiscenze
pastorali persistono in Malinconia,
ninfa gentile di
Vincenzo
Bellini
(1801-1835), dove il tema arcadico tipicamente settecentesco si
contamina con motivi romantici nei versi di Ippolito Pindemonte. La
lirica, in cui emerge pienamente la morbidezza del fraseggio e della
melodia tipicamente belliniana, inaugura la prima raccolta di ariette
del compositore, edita nel 1829 da Ricordi; esse risalgono al periodo
in cui il Catanese, probabilmente amareggiato dall’accoglienza
tributata a Zaira,
restò inoperoso per un certo tempo dedicandosi piuttosto alla
creazione di piccoli pezzi, dove abbozzò temi poi approfonditi nella
successiva produzione operistica. Dello stesso volume fanno parte
anche Vanne,
o rosa fortunata
e Ma
rendi pur contento:
gli
ascoltatori riconosceranno nella prima stralci delle cabalette del
duetto di Norma e Pollione e del terzetto con Adalgisa dalla Norma,
nella seconda echi di “O Zaira, in tal momento” dall’opera
Zaira
e dell’aria “Se Romeo t’uccise un figlio” da I
Capuleti
e i Montecchi.
La parentesi dedicata a Bellini si conclude con la più eseguita
delle sue arie da camera, Vaga
luna che inargenti.
Pubblicata per la prima volta in una rivista milanese e
successivamente da Ricordi nella raccolta Tre
ariette inedite
(1838), la tematica lunare e lo stesso verso d’esordio l’avvicinano
alla celebre Casta
diva.
Stefano
Donaudy
(1879-1925), colto compositore di origini francesi, optò per un
ritorno all’antichità in un periodo dominato dalla poetica
verista, impiantando elementi arcaici in uno stile di ascendenza
comunque tardo-romantica. A Novecento ormai inoltrato, egli pubblicò
due raccolte di brani intitolate Arie
di stile antico
(1916 e 1923), da eseguirsi nell’ambiente intimo di eleganti
salotti. Frutto di questo lavoro raffinato e nostalgico sono ariette
come O
del mio amato ben,
Perduta
ho la speranza e
Vaghissima
sembianza.
La prima è forse il brano più noto dell’autore; la linea melodica
si snoda ampia, favorita dall’alternanza di endecasillabi e
settenari, metro non infrequente nel campionario di Parisotti, vero e
proprio precursore dell’esperienza di Donaudy.
Se
per alcuni autori, come Bellini, la produzione cameristica non è che
un’attività parallela a quella principale, per altri è invece
un’autentica vocazione. È questo il caso di Francesco
Paolo Tosti
(1846-1916), indubbiamente il nome più rappresentativo
dell’Ottocento italiano nell’ambito della vocalità non
operistica.
Nato
in una famiglia di mercanti abruzzesi, la sua vocazione per la musica
lo portò a stabilirsi dapprima a Roma, dove giunse fino al Quirinale
come maestro di canto della futura regina Margherita, e poi a Londra,
dove svolse la stessa mansione per i reali inglesi, la regina
Vittoria e il figlio Edoardo VII. La sua produttività come
compositore per voce e pianoforte è paragonabile a quella dei più
attivi liederisti tedeschi: lasciò più di cinquecento melodie, di
cui Ideale,
’A vucchella,
Donna, vorrei morir,
Non t’amo più!,
L’alba separa dalla luce l’ombra,
proposte in questa sede, sono solo alcune delle più famose. Nella
prima, in linea con la tradizione precedente, Tosti gioca
espressivamente con i semitoni prediligendo morbide ascese e discese
per moto congiunto, per descrivere un amore quasi irreale, da
contemplare con timore reverenziale. Il testo è di Carmelo Errico,
definito da D’Annunzio poeta di “liriche d’amore caste e
armoniose”, graditissime a un pubblico borghese. Su testo del Vate
è invece la graziosa ’A
vucchella,
sulla cui genesi circolano diverse leggende: si narra che Tosti
avesse chiuso in una stanza il poeta, minacciandolo di farlo uscire
solo dopo aver ottenuto dei versi, o che, per una scommessa fra i due
amici, la poesia fosse stata composta nell’arco di mezz’ora.
Ancora su versi di Errico è Non
t’amo più!,
che sembra rappresentare una sorta di contraltare a Ideale,
narrando il fallimento della storia d’amore vagheggiata nel
precedente brano. La modulazione da minore a maggiore del refrain,
che termina con il verso che dà il titolo alla romanza, vuole forse
alludere al raggiungimento di un nuovo equilibrio interiore alla fine
di una relazione deludente. Tra i capolavori di Tosti devono essere
annoverate le Quattro
canzoni d’Amaranta (1907),
coeve ad A’
vucchella
e ancora su testo di D’Annunzio. Amaranta è l’appellativo di una
delle donne amate dal poeta, Giuseppina Mancini, così soprannominata
nelle lettere scambiate con l’amante. Nonostante si tratti di un
ciclo indubbiamente femminile, L’alba
separa dalla luce l’ombra,
seconda canzone, è particolarmente amata anche dai tenori, per
l’ampiezza dell’estensione, la tessitura acuta e l’espansività
della melodia; e benché il ciclo abbia carattere unitario e tragico,
è decisamente, fra le quattro, la lirica meno cupa, nonché quella
che meglio si presta a essere estrapolata.
La
cantabilità di ascendenza tostiana e la semplicità emotiva delle
brevi melodie di Luigi
Denza
(1846-1922), che oggi ricordiamo soprattutto per le canzoni
napoletane, genere in cui fu indiscusso maestro, assicurarono
comunque un enorme successo, anche oltralpe, alle sue romanze, fra le
quali la più popolare è senz’altro Occhi
di fata,
ancora oggi uno dei brani più graditi del repertorio maschile.
Mascagni (1863-1945) è invece apprezzato, come Bellini, soprattutto
come operista: la critica, anzi, bollò la sua produzione non
teatrale come “minore”. Egli fu camerista solo sporadicamente,
soprattutto in gioventù. Su versi di Lorenzo Stecchetti compose uno
dei pezzi più conosciuti del genere salottiero, Serenata
(1894),
la cui fluida melodia l’avvicina comunque allo stile di Tosti; la
tematica rimane sentimentale, mentre assente è qualunque intento
intellettualistico. Stanislao
Gastaldon
(1861-1939) fa parte di un folto gruppo di compositori dello stesso
periodo che seguirono le orme tostiane, ma la cui fama rimane
ancorata a un’unica composizione. Egli fu in realtà prolifico
autore: la tradizione gli attribuisce circa trecento canzoni, anche
se finora ne sono state identificate meno di cento. Gastaldon compose
Musica
proibita appena
ventenne, raggiungendo improvvisamente un’enorme popolarità: la
melodia, immediata e spontanea come in molti dei brani incontrati,
non manca, le modulazioni nemmeno, a rendere questo piccolo gioiello
uno degli esempi più significativi della romanza da salotto, genere
spesso tacciato di banalità dai critici già all’epoca ma che a
un’attenta esplorazione cela, all’interno di una produzione assai
vasta, delle piccole perle, di cui la selezione proposta presenta un
efficace panorama.
Fabio Sartori cr Victor Santiago |
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