Fra hip-hop, contemporanea e street dance per la compagnia francese al Teatro Pavarotti-Freni

DANZA: “BOYS DON’T CRY”
DELLA COMPAGNIA HERVÉ KOUBI

Fra hip-hop, contemporanea e street dance il trascinante spettacolo
della compagnia francese ospite del Teatro Pavarotti-Freni

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Va in scena venerdì 21 gennaio alle 20.30 per la stagione di danza al Teatro Comunale Pavarotti-Freni lo spettacolo Boys don’t cry della compagnia francese Cie Hervé Koubi. Costruito sulla base di un testo della scrittrice francese Chantal Thomas, Boys don’t cry è una creazione 2018 del coreografo franco algerino Hervé Koubi per sette dei suoi quattordici danzatori. È una riflessione sulla sfida di una crescita personale, dura ed entusiasmante, in una società “chiusa”, attraverso momenti di testo parlato che si combinano allo stile caratteristico della compagnia, tra hip-hop, danza acrobatica e tecnica contemporanea.

Cosa significa scegliere di diventare ballerino quando sei un ragazzo, specialmente quando provieni da Paesi dove la differenza di genere pesa ancora tanto sui destini individuali? Il lavoro gioca sul cliché del giovane uomo che preferisce la danza agli sport tipicamente maschili e sulla tensione che questa scelta può causare nei rapporti sociali e familiari. Solo abbracciando la gioia trascendente della danza, un gruppo di giovani riuscirà ad affrancarsi dalla mascolinità a cui la cultura dominante di appartenenza li vorrebbe destinati. Boys don’t cry è uno spettacolo per tutti, uno sguardo serio e giocoso sul diventare adulti in una società dove la via predestinata non è quasi mai quella desiderata. In senso più ampio lo spettacolo è anche un messaggio sulla libertà di essere se stessi al di là di ogni condizionamento.

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“I miei genitori non sono persone di cultura nel senso che non hanno frequentato cinema, teatri, musei – racconta il coreografo – In casa mia c’era però una moltitudine di libri, che mio padre raccoglieva regolarmente nella spazzatura; erano stati privati dell’istruzione e provenivano da un’epoca in cui i libri in Algeria erano costosi, quindi era inconcepibile per loro vederli buttati per strada in quel modo. Nulla del mio ambiente di origine mi ha predestinato alla danza. Tuttavia... i miei genitori lavoravano ed era mia sorella, di cinque anni più grande, che si occupava di me. Frequentava una scuola di danza, che le piaceva molto, e ogni mercoledì e sabato mi trascinava letteralmente alla sua lezione di ballo. Per me era fuori discussione praticare questa disciplina perché nella mia famiglia ‘i maschi non danzano’...”

La storia della compagnia è legata alla biografia del suo fondatore e coreografo, che in Francia ha dato vita nel 2010 a un primo nucleo di dodici ballerini algerini e burkinabé fino ad affermarsi fra i complessi più entusiasmanti a livello internazionale. E con questo gruppo di ballerini che ha creato tutti suoi successivi lavori: El Din (2010-2011), Ce que le jour doit à la nuit (2013), Le rêve de Léa (2014), Des hommes qui dansent (2014), Les nuits barbares ou les premiers matins du monde (2015-2016) e Odyssey (2019-2020), presentato in prima italiana alla Biennale Danza di Venezia a luglio 2021. Nel 2015 il coreografo è decorato con l’ordine di “Chevalier des Arts et des Lettres”.

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