Chovanščina, ultimo capolavoro di Modest Musorgskij al Teatro alla Scala

Chovanščina
il grande repertorio russo torna alla Scala 

Per il capolavoro di Musorgskij, torna al Piermarini per un’opera Valery Gergiev.

Mario Martone firma il nuovo allestimento con scene di Margherita Palliin scena Mikhail Petrenko, Ekaterina Semenchuk e Evgenia Muraveva

Dal 27 febbraio al 29 marzo va in scena al Teatro alla Scala di Milano Chovanščina, ultimo capolavoro di Modest Musorgskij, a vent’anni dall’ultimo allestimento a Milano: un evento culturale per cui il Teatro mobilita le sue forze migliori, un affresco inquietante e grandioso che interroga i meccanismi della politica e del sentimento di ieri e di oggi.

Per l’occasione torna sul podio Valery Gergiev, oggi massimo interprete di questo repertorio; la regia è di Mario Martone, reduce dal successo dell’inaugurazione della Stagione 2017/2018 con Andrea Chénier e, al cinema, del recente Capri Revolution, e le scene sono di Margerita Palli che nelle scorse settimane ha conquistato il pubblico della Scala con Lo Schiaccianoci, mentre tra i numerosi protagonisti vanno ricordati almeno Mikhail Petrenko (Ivan Chovanskij), Ekaterina Semenchuk (Marfa), Evgenia Muraveva (Emma), Stanislav Trofimov (Dosifej), Evgeny Akimov (Golicyn) e il Coro della Scala diretto da Bruno Casoni. 


Genesi e peripezie di un capolavoro 
Scritta a partire dal 1872, Chovanščina era stata immaginata da Musorgskij come la seconda opera di una trilogia epica sulla storia russa: il primo titolo è Boris Godunov (andato in scena nel 1874), basato sul dramma di Puškin e dedicato alla cosiddetta epoca dei torbidi (1584-1613), il terzo - mai realizzato - sarebbe stato ancora ispirato da Puškin e avrebbe dovuto avere come oggetto la rivolta di Pugacëv (1773-1774). Chovanščina (a volte tradotto come La congiura dei principi Chovanskij, ma la parola ha una sfumatura sarcastica e spregiativa: “una roba da Chovanskij”), su libretto dello stesso Musorgskij, che si era personalmente impegnato in approfondite indagini storiche, è la storia delle congiure che tra il 1682 e il 1689 portarono alla sconfitta dei “vecchi credenti” e all’ascesa al trono di Pietro il Grande. Alla morte di Musorgskij, nel 1881, dell’opera era pronta solo la versione per canto e pianoforte, con scarni abbozzi di orchestrazione e ampie lacune, in particolare nel finale. L’impegno a rendere rappresentabile l’opera fu generosamente assunto da Rimskij-Korsakov, che da un lato orchestrò da par suo, sia pure accentuando gli aspetti fiabeschi, dall’altro volle correggere arcaismi e asprezze di scrittura che dal suo punto di vista erano semplicemente errori, e tagliò circa un quarto della musica. La sua versione fu eseguita a San Pietroburgo in forma amatoriale nel 1886 e pubblicamente solo nel 1911; Djagilev promosse una rappresentazione a Parigi nel 1913, con integrazioni orchestrate da Ravel e Stravinskij. Fu però Dmitrij Šostakovič, che dal 1931 aveva a disposizione l’edizione critica curata da Pavel Lamm, a riprendere l’opera nella sua interezza e a realizzare nel 1961 un’orchestrazione che rispettava l’originalità visionaria del dettato di Musorgskij e il suo drammatico, spietato realismo. 


Le premesse storiche 
Scritta per un pubblico di aristocratici russi, Chovanščina è ricca di riferimenti storici a fatti non necessariamente conosciuti dal pubblico contemporaneo. Sullo sfondo il raskol’, lo scisma che aveva dilaniato la Chiesa ortodossa. Il lungo isolamento della Chiesa russa aveva fatto sì che i testi sacri fossero affidati a copisti e traduttori negligenti e inadeguati, con il risultato di una pletora di versioni discordanti e spesso assurde. Nel 1649 giunge a Mosca il Patriarca di Gerusalemme, Pasios, e richiama la Chiesa russa al rispetto dei testi e dei riti bizantini, chiedendo la modifica dei gesti più quotidiani della devozione popolare: il segno della croce deve essere fatto con tre dita e non con due come in Russia, l’Alleluia va cantato due volte e non tre, lo stesso nome di Gesù va scritto Iisus e non Isus. Il suo più convinto sostenitore, l’archimandrita Nikon, diventa patriarca di Mosca nel 1652 con un piano ambizioso: unificare il culto ortodosso e fare della Russia la guida di tutta la cristianità d’Oriente. La Chiesa diviene organo dello Stato e guida delle sue prospettive imperiali. La rivolta popolare è immediata, i “vecchi credenti” identificano Nikon con l’Anticristo ma sono costretti dalla repressione a fuggire dalle città e rifugiarsi in monasteri isolati. Odiato da tutti, Nikon sarà allontanato dallo Zar Aleksej, ma le sue riforme sopravviveranno. Dopo aver avuto due figli maschi di salute malferma, Fëdor e Ivan, dalla prima moglie Marija Miloslavskaja, Aleksej sposa la giovane Natal’ja Naryškina, da cui nasce Pietro. Alla sua morte gli succede il figlio maggiore Fëdor, mentre cresce l’influenza della figlia più grande Sof’ja, e i Naryskin sono costretti all’esilio. Fëdor muore nel 1682 e gli succede il fratello minore Ivan, gravemente ritardato, ma il patriarca Joachim convoca un’assemblea che destina al trono Pietro, che ha dieci anni. Il clan dei Miloslavke chiama a sostegno i vecchi credenti (raskol’nilki) ma soprattutto gli strel’cy, gli archibugieri che formano la guarnigione di Mosca, che nel maggio irrompono al Cremlino facendo strage dei nemici di Ivan. Il principe Chovanskij, segretario degli strel’cy, avanza alla zarina, che è costretta ad accettare, la proposta di riconoscere due giovani zar, Pietro e Ivan, affidando la reggenza alla loro sorella Sof’ja. Il successo accende le illusioni di Chovanskij, ma Sof’ja si affida sempre più apertamente al principe Vasilij Golicyn, progressista e nikoniano. Nel settembre sui cancelli del palazzo dove risiede la corte appare una denuncia anonima che accusa Chovanskij e il figlio di cospirazione: poco dopo Sof’ja li fa condannare dalla Duma e giustiziare. Mentre i sogni di modernizzazione di Golicyn affondano in campagne militari sfortunate, Pietro in esilio a Preopbraženskoe addestra una milizia personale. Nel 1689 gli giunge la falsa notizia che gli strel’cy vogliono sterminare lui e la sua famiglia: Pietro dapprima fugge, poi raduna le sue milizie e con l’appoggio del patriarca fa rinchiudere Sof’ja nel Monastero delle Vergini, esilia Golicyn e fa giustiziare il capo degli strel’cy Šaklovityj. Pietro è unico zar di tutte le Russie. 


Modest Musorgskij 
Nato nel 1839 in una famiglia di proprietari, Musorgskij riceve le prime lezioni di pianoforte dalla madre. Avviato alla carriera militare, entra nel reggimento Preobraženskij, tra i più aristocratici di San Pietroburgo, e inizia a frequentare il teatro. Nello stesso periodo conosce i compositori Borodin, Dargomyžskij e Balakirev. Nel 1857 entra a far parte del Gruppo dei cinque, fondato da quest’ultimo per promuovere, sulle orme di Glinka, la musica nazionale russa. Alla morte del padre le rendite delle proprietà, male amministrate, diminuiscono, per cessare del tutto nel 1861 con l’abolizione della servitù della gleba. Musorgskij decide di dedicarsi alla musica e si sostenta con un lavoro al Ministero delle Comunicazioni. Nel 1867 compone Una notte sul Monte Calvo; nel 1869 completa la prima versione di Boris Godunov che viene respinta dai Teatri imperiali perché manca un ruolo da prima donna; una seconda versione andrà in scena con successo nel 1874. Il compositore aveva diviso una stanza con il collega Rimskij-Korsakov durante la stesura del Boris, ma rimasto solo dopo il matrimonio dell’amico scivola in un alcolismo sempre più allarmante. Nel 1874 la scomparsa dell’amico pittore Victor Hartmann gli ispira il ciclo pianistico Quadri di un’esposizione, cui segue La fiera di Soročincy, da Gogol’. Chovanščina lo impegna per diversi anni ma è destinata a restare incompiuta. Negli ultimi anni le condizioni economiche gli impongono di impiegarsi come pianista accompagnatore di cantanti e maestro di pianoforte per i ragazzi. Musorgskij fu un uomo sfortunato: non formò una famiglia, non ebbe amori, non ottenne successi, non visse nell’agiatezza, non ebbe buona salute e non gli giunsero neppure le conferme di cui aveva tanto bisogno. Nel 1881 tre attacchi di epilessia causati dall’alcool lo riducono in fin di vita. È in queste condizioni che il pittore Il’ja Repin lo ritrae, a poche settimane dalla morte. Il cognac fu la sua unica consolazione. Attaccato dalla maldicenza dei mediocri, sprofondò nel suo destino di musicista selvaggio, di artista sregolato, di genio solitario e disperatamente concentrato nella missione profetica di innovatore della musica. 


La trama dell’opera 
Il libretto autografo di Musorgskij, il cosiddetto quaderno blu, suddivide la vicenda in sei scene o quadri; è Rimskij-Korsakov a unire quarto e quinto quadro per ottenere un’opera in cinque atti. Disperato affresco senza eroi, Chovanščina si costruisce in un continuo rimando tra drammi personali, rivolgimenti politici e conflitti religiosi: una summa di storia e cultura nazionali che scomparso l’autore ha attraversato la musica russa con i contributi di Rimskij-Korsakov, Stravinskij e Šostakovič. Atto I: L’alba, suggerita dal Preludio, sorprende alcuni strel’cy sulla Piazza Rossa. Il boiardo Šaklovityj detta allo scrivano una lettera per lo zar in cui denuncia la congiura dei Chovanskij contro di lui quando lo stesso Ivan Chovanskij sopraggiunge e promette alla folla di proteggere “i giovani zar” Ivan e Pietro. Suo figlio Andrej insidia la giovane tedesca Emma, ostacolato da Marfa, una vecchia credente con doti di indovina innamorata di lui. Il monaco Dosifej, guida dei vecchi credenti, prega per la Russia. Atto II: Nel suo padiglione estivo Golicyn legge una lettera della sua amante, la reggente Sof’ja, e ascolta alcune proteste sulla violenza degli strel’cy, tra cui le molestie di Andrej a Emma. Golicyn chiede a Marfa di leggergli il futuro e Marfa gli annuncia la rovina e l’esilio. Golicyn ordina ai suoi di ucciderla in un agguato ma Marfa si salverà. Sopraggiunge Ivan Chovanskij che ha un violento alterco con Golicyn; Dosifej li rimprovera entrambi quando Šaklovityj entra annunciando che lo zar Pietro ha ordinato un’inchiesta contro Chovanskij. Atto III: Nel campo degli strel’cy Marfa canta il suo amore per Andrej nonostante Susanna, un’altra vecchia credente, le rimproveri l’abbandono alle passioni. Dosifej ascolta la sua confessione e la incita alla preghiera. Šaklovityj prega Dio di mandare un salvatore della Russia, mentre entrano gli strel’cy ubriachi inseguiti dalle mogli furiose per la loro crapula. Lo scrivano annuncia che le truppe di Pietro stanno attaccando, ma Chovanskij rifiuta di guidare la resistenza. Atto IV: nella prima scena Ivan Chovanskij pranza tra i canti delle contadine e le danze delle schiave persiane quando Šaklovityj gli comunica una convocazione da parte della zarevna Sof’ja. Non appena si avvia, Chovanskij è pugnalato da un sicario. La seconda scena vede Golicyn partire per l’esilio mentre Dosifej e Marfa meditano di immolarsi. Marfa invita Andrej a seguirla tra i vecchi credenti; davanti a San Basilio sfilano già gli strel’cy condannati a morte ma un messo dello zar annuncia il loro perdono. Atto V: I vecchi credenti si sono rifugiati in un eremo nella foresta. Dosifej li esorta a vestirsi di bianco e prepararsi al sacrificio. Marfa e Andrej si abbandonano a un ultimo canto disperato quando si ode la tromba che annuncia l’avvicinarsi dei soldati di Pietro. I vecchi credenti si immolano in un rogo purificatore sfuggendo alla furia dello zar. 


Valery Gergiev 
Valery Gergiev è tra i principali protagonisti del panorama musicale del nostro tempo. Nato a Mosca, dopo l’infanzia trascorsa in Ossezia si forma a San Pietroburgo, prima nella classe di Il’ja Musin e dal 1978 come assistente di Yuri Temirkanov al Teatro Mariinskij, dove debutta con Guerra e pace di Prokof’ev. Dal 1988 è Direttore artistico e dal 1996 Direttore generale del Mariinskij che sotto la sua guida si arricchisce di una seconda sala e di una sala da concerti. Dal 1995 al 2008 dirige la Filarmonica di Rotterdam. Innumerevoli le collaborazioni con tutte le principali orchestre del mondo e intensissimo il rapporto con la Scala: dopo il debutto nel 1990 con la Filarmonica, nelle cui stagioni tornerà regolarmente, e La leggenda della città invisibile di Kitez con i complessi del Mariinskij nel 1994, nel 1995 dirige Il giocatore, nel 1998 Čhovanščina, nel 2000 Vojna i Mir (Guerra e pace), nel 2001 La forza del destino, nel 2002 Boris Godunov, nel 2013 Macbeth. 


Mario Martone 
Regista cinematografico e teatrale, Mario Martone ha avuto un rapporto fecondo con la Scala. Il debutto avviene nel 2011 con l’accoppiata verista per eccellenza, Pagliacci e Cavalleria rusticana con la direzione di Daniel Harding: uno spettacolo fortunato ripreso più volte negli anni successivi. Seguono due titoli verdiani: Luisa Miller diretta da Gianandrea Noseda nel 2012 e Oberto conte di San Bonifacio diretta da Riccardo Frizza nel 2013. Nel 2016 Martone incontra Margherita Palli per La cena delle beffe di Giordano: ne nasce un allestimento originale ed efficacissimo il cui successo è ribadito da Andrea Chénier diretto da Riccardo Chailly in apertura della Stagione 2017/2018. Mario Martone è di nuovo nelle sale cinematografiche in queste settimane con Capri Revolution, ambientato nei circoli progressisti che animavano l’isola negli anni precedenti la Grande Guerra. 


Margherita Palli 
Margherita Palli è un punto di riferimento per la scenografia italiana. Il suo nome è strettamente legato a quello di Luca Ronconi, con cui ha firmato alla Scala Oberon (1989), Lodoïska (1991), La damnation de Faust (1995), Tosca (1997), Ariadne auf Naxos (2000), Il trittico (2008), L’affare Makropoulos (2009). Ha firmato due inaugurazioni di Stagione: La vestale con Liliana Cavani e Andrea Chénier con Mario Martone, con cui ha realizzato anche La cena delle beffe nel 2015. Nello scorso dicembre ha firmato le sue prime scenografie per un balletto: Lo schiaccianoci nella versione Balanchine. Alla Scala ha realizzato anche la mostra su Luca Ronconi all’Ansaldo nel 2015 e quella su Maria Callas al Museo nel 2017. 



Gli interpreti 
Chovanščina, colossale dramma storico-politico, è anche un’opera dai personaggi complessi e umanissimi: Musorgskij dipinge con lo stesso realismo disincantato eppure sempre partecipe le psicologie dei singoli e le convulsioni della Storia. Ivan Chovanskij, il protervo autore della rivolta, è interpretato alla Scala da Mikhail Petrenko, tra i bassi più richiesti dai teatri di tutto il mondo nel repertorio wagneriano e russo, ma che alla Scala è stato anche Zaccaria in Nabucco. Suo figlio Andrej è il tenore Sergey Skorokhodov, una star del Mariinskij molto presente anche nei maggiori teatri europei in ruoli verdiani. Personaggio originale e inquietante, delatore e assassino dalla psicologia tormentata, Šaklovityj è interpretato dal baritono Alexey Markov, anche lui ospite frequente del Mariinskij ma anche di teatri come il Metropolitan di New York. A Stanislav Trofimov la parte dell’ex principe, ora monaco Dosifej, cavallo di battaglia di Šaljapin e prototipo del basso nobile nella tradizione musicale russa. Marfa, personaggio incandescente in cui convivono sensualità, ascesi e desiderio di martirio, segna il ritorno alla Scala di Ekaterina Semenchuk, mentre debutto attesissimo è quello, nella parte di Emma, di Evgenia Muraveva, che ha attirato su di sé l’attenzione internazionale sostituendo Nina Stemme in Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk al Festival di Salisburgo nel 2017. Nel cast ancheche ha conquistato l’attenzione internazionale sostituendo Nina Stemme in Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk a Salisburgo nel 2017 che ha conquistato l’attenzione internazionale sostituendo Nina Stemme in Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk a Salisburgo nel 2017che ha conquistato l’attenzione internazionale sostituendo Nina Stemme in Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk a Salisburgo nel 2017 Irina Vashchenko come Susanna e Maxim Paster come Scrivano, mentre alcuni dei migliori allievi dell’Accademia sono chiamati a sostenere i molti ruoli, talvolta brevi ma mai minori, che completano il grande affresco di Musorgskij. 


Chovanščina alla Scala 
La fortuna europea di Chovanščina segue le rappresentazioni di San Pietroburgo del 1911 e la produzione di Diaghilev a Parigi nel 1913, dominate da Šaljapin nella parte di Dosifej. Un altro grande basso, Marcel Journet, fa parte della compagnia della prima scaligera del 1926 in italiano diretta da Ettore Panizza con la regia di Alessandro Sanine. Nel 1933 dirige Vittorio Gui e Mario Frigerio firma la regia, mentre nel 1949 e 1950 direzione e regia sono concentrate nelle mani di Issay Dobrowen: Chovanskij è Nicola Rossi Lemeni, come Marfa si ascoltano prima Fedora Barbieri poi Giulietta Simionato. Primo paladino dell’opera nel dopoguerra è Gianandrea Gavazzeni che la dirige nel 1967 e 1971 con la regia di Josif Tumanov e Nicolai Ghiaurov come Chovanskij e Irina Arkhipova come Marfa. Nel 1973 il Teatro Bol’šoj porta la sua produzione diretta da Boris Chajkin con la regia di Oleg Moroliov e Elena Obratzsova nei panni di Marfa. Nel 1981 il Musorgskij Festival voluto da Claudio Abbado include una memorabile messa in scena di Jurij Ljubimov diretta da Ruslan Raicev. L’ultima apparizione del titolo alla Scala risale al 1998 con la regia di Leonid Baratov e una locandina d’eccezione: sul podio Valery Gergiev, in scena Paata Burchuladze, Vladimir Galouzine, Nicolai Putilin, Larissa Diadkova e Hasmik Papian. 


Valery Gergiev © Alexander Shapunov

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