Recital di ALEKSANDRA KURZAK in streaming dal Teatro alla Scala


Domenica 11 aprile 2021 ~ ore 20

In streaming sul sito e sui canali Facebook

e YouTube del Teatro alla Scala

Aleksandra Kurzak canta Chopin

Il soprano polacco in recital accompagnata da pianoforte e viola offre una rara occasioni di ascoltare composizioni vocali del suo compatriota insieme alle Mazurke trascritte da Pauline Viardot. Completano il programma Lieder di Schumann, Brahms e Čajkovskij


Domenica 11 aprile alle ore 20, per il Ciclo dei Recital di Canto, appuntamento in streaming con Aleksandra Kurzak, che torna alla Scala dopo i successi in Rigoletto (Gilda, dir. James Conlon, 2010), Le nozze di Figaro (Susanna, dir. Andrea Battistoni, 2012) e Le Comte Ory (Adele, dir. Donato Renzetti, 2014).

Il soprano polacco apre il suo recital nel clima romantico delle delicate liriche del suo conterraneo Fryderyk Chopin, eseguendo quattro dei Diciassette canti polacchi pubblicati postumi nel 1857. Di Chopin sono in programma anche quattro mazurche, trascritte come liriche per voce e pianoforte su testi di Louis Pomey da Pauline Viardot, cantante e compositrice francese, tra le figure più rappresentative della vita musicale europea dell’età romantica. Nel cuore del dibattito culturale del romanticismo francese sulla musica popolare, intesa come un tutt’uno con la poesia, le trascrizioni di Pauline Viardot evidenziano non solo le potenzialità poetico-espressive della mazurka chopiniana come forma di danza popolare, ma anche il valore della chanson populaire come espressione dello spirito nazionale di un popolo.

Amica di Pauline Viardot era Clara Wieck, che sposò Robert Schumann nel 1840. Alla vigilia delle nozze, tanto agognate dopo aver affrontato l’opposizione del suocero, Schumann compose pagine esemplari dell’intera letteratura liederistica, tra cui il ciclo che segue nel programma, Frauenliebe und -Leben, su liriche di Adalbert von Chamisso, in cui è espressa pienamente la tavolozza affettiva della sposa, dalla freschezza dell’innamoramento al dolore per la perdita dell’amato.

La malinconia è il sentimento dominante nei brani di Johannes Brahms che seguono nel programma, gli Zwei Gesänge per voce, viola e pianoforte (1884): Gestillte Sehnsucht (da Friedrich Rückert) e Geistliches Wiegenlied (da Emanuel Geibel, originariamente da Lope de Vega).

In chiusura del programma Aleksandra Kurzak ci trasporta in atmosfere slave con una ricca selezione di romanze di Pëtr Il’ič Čajkovskij. La composizione di brani per voce e pianoforte ha attraversato con costanza la maggior parte della vita di Čajkovskij, a partire dal 1869 fino al 1893, anno della morte.

Oltre al classico accompagnamento del pianoforte, con Marek Ruszczynski, nell’esecuzione delle mazurche di Chopin/Viardot e di alcune romanze russe sarà coinvolta anche la viola di Tomasz Wabnic. Il recital sarà trasmesso in streaming sul sito e sui canali Facebook e YouTube del Teatro, dove rimarrà disponibile 7 giorni.





Aleksandra Kurzak

Soprano

Nata a Brzeg Dolny, in Polonia, dopo il diploma in violino ha studiato canto all’Accademia “Karol Lipínski” di Breslavia, perfezionandosi poi alla Hochschule für Musik und Theater di Amburgo. A ventun anni ha debuttato all’Opera di Breslavia come Susanna nelle Nozze di Figaro, nel cui cast figurava anche la madre Jolanta Żmurko ‒ sua prima insegnante ‒ nel ruolo della Contessa. Dal 2001 al 2007 ha fatto parte prima dell’Opernstudio e poi dell’ensemble della Staatsoper di Amburgo (dalla Stagione 2003-2004), interpretando, tra l’altro, Marzelline (Fidelio), Nannetta (Falstaff), Ännchen (Der Freischütz), Gilda (Rigoletto), Gretel (Hänsel und Gretel), Musetta (La bohème), Fiorilla (Il turco in Italia), Cleopatra (Giulio Cesare in Egitto), Adele (Le Comte Ory), la Cameriera (Powder Her Face di Thomas Adès), Marie (La fille du régiment) e numerosi ruoli mozartiani, quali la Regina della Notte, Blonde, Susanna, Servilia. Di recente vi è tornata come Desdemona in Otello. Nel 2004 ha debuttato come Olympia nei Contes d’Hoffmann al Metropolitan, dove successivamente ha cantato anche Blonde (Die Entführung aus dem Serail), Gilda, Gretel, Adina (L’elisir d’amore), Nedda (Pagliacci), Micaela (Carmen) e Violetta (La traviata). Nella stessa stagione ha debuttato come Aspasia in Mitridate, re di Ponto alla Royal Opera House Covent Garden, dove in seguito è stata Norina (Don Pasquale), Adina, Susanna, Matilde (Matilde di Shabran) è, più di recente, Fiorilla, Rosina (Il barbiere di Siviglia), Gilda, Lucia (Lucia di Lammermoor), Liù (Turandot) e Violetta. Nel febbraio 2010 ha esordito nel Rigoletto alla Scala, dove in seguito è tornata per Le nozze di Figaro nel 2012 e per Le Comte Ory nel 2014.

È stata Mimì nella Bohème e la Regina della Notte alla Staatsoper Unter den Linden di Berlino, Gilda al Teatro Regio di Parma, al Théâtre du Capitole di Tolosa, all’Opera di San Francisco e all’Opera Nazionale Finlandese di Helsinki, Cleopatra, Adele, Rosina, Fiorilla, Adina, Rachel (La Juive) alla Bayerische Staatsoper di Monaco, Rosina, Adina, Susanna (nelle Nozze di Figaro), Marie, Gilda, Violetta, Desdemona nell’Otello, Liù alla Staatsoper di Vienna, Violetta al Teatro Regio di Torino, Norina (La sonnambula) al Teatro Massimo di Palermo, Susanna e Marie al Teatro Real di Madrid, Blonde alla Lyric Opera di Chicago, Ännchen e Donna Anna (Don Giovanni) al Festival di Salisburgo, Rosina, Juliette (nel Roméo et Juliette di Gounod), Gilda e Violetta all’Arena di Verona, Fiordiligi in Così fan tutte a Los Angeles, Adina e Nedda al Palau de les Arts di Valencia e al Gran Teatre del Liceu di Barcellona, Aspasia alla Welsh National Opera di Cardiff, Donna Anna e Amenaide nel Tancredi al Theater an der Wien, Gilda, Violetta e Lucia al Teatr Wielki di Varsavia, Donna Anna alla Fenice di Venezia, Gilda, Norina e Nedda all’Opernhaus di Zurigo, Violetta, Adina e Nedda alla Deutsche Oper di Berlino, Adina, Micaela, Alice Ford nel Falstaff, Vitellia nella Clemenza di Tito, Violetta, Desdemona, Elisabetta nel Don Carlo all’Opéra di Parigi, Lucia all’Opera di Seattle e Luisa nella Luisa Miller all’Opéra di Monte-Carlo.

Ha collaborato con direttori d’orchestra del calibro di Ivor Bolton, Bruno Campanella, James Conlon, Christoph von Dohnányi, Rafael Frühbeck de Burgos, René Jacobs, Fabio Luisi, Nicola Luisotti, Sir Charles Mackerras, Ingo Metzmacher, Yannick Nézet-Seguin, Daniel Oren, Antonio Pappano, Carlo Rizzi.


http://aleksandrakurzak.com






Marek Ruszczynski

Pianoforte

Nato in Polonia, ha studiato a Danzica con Katarzyna Popowa-Zydroń e a diciannove anni ha ottenuto un premio dal Ministero Polacco della Cultura e dell’Istruzione, oltre al premio del Rotary Club attribuito al miglior diplomato del Conservatorio della Polonia del Nord. Durante i suoi studi alla Guildhall School of Music and Drama a Londra ha ottenuto due volte, nel 2009 e nel 2011, la Medaglia d’oro al miglior pianista accompagnatore. Nel 2012 ha vinto il primo premio come pianista al Concours International Chant-Piano ‘Nadia et Lili Boulanger’ nonché il terzo premio al Concorso Pianistico Internazionale di Andorra.

Ha tenuto recital nelle più prestigiose sale da concerto europee, tra cui la Wigmore Hall e il Barbican di Londra, la Philharmonie di Berlino e il Musikverein di Vienna. Appassionato di musica vocale, si è specializzato nell’accompagnamento di cantanti d’opera. Ha partecipato alla masterclass diretta da Marilyn Horne ‘The Song Continue’ alla Carnegie Hall di New York e all’Opéra Bastille a Parigi e ha frequentato l’Académie Musicale de Villecroze, accompagnando Teresa Berganza.

Ha seguito una formazione come maestro accompagnatore al National Opera Studio di Londra e attualmente fa parte dello staff musicale dello Jette Parker Young Artists Programme della Royal Opera House, Covent Garden. Lavora come vocal coach per la Royal Academy of Music e per la Kiri Te Kanawa Foundation. Ha tenuto masterclass al Trinity College of Music e fa parte dalla giuria della Manhattan Voice Competition.

www.marekruszczynski.com


Tomasz Wabnic

Violista

Nato a Breslavia, in Polonia, in una famiglia di musicisti, si esibisce in pubblico come violinista per la prima volta all’età di quattro anni con sua sorella al pianoforte. Ha studiato il violino con Jadwiga Kaliszewska all’Accademia di musica “Ignacy Jan Paderewski” di Poznań e viola con Herwig Zelle presso la Musik und Kunst Privatuniversität der Stadt Wien, dove si è diplomato nel 2005, frequentando poi la masterclass dell’Altenberg Trio. Oltre a essere un virtuoso del violino e della viola, è anche un manager di successo, che ha creato vari gruppi di musica da camera, avviando e promuovendo la loro attività. Ancora studente, ha fondato il Fidelio Quartett, finalista al Quarto Concorso Internazionale di Musica da Camera di Melbourne nel 2003. Affascinato sin da piccolo dal concetto di morphing, ovvero la combinazione di diverse opere musicali e altre forme d’arte attraverso una transizione senza soluzione di continuità, è Direttore artistico e presidente del Morphing Music Institute e violista del Vienna Morphing Quintet, nonché fondatore e direttore della Morphing Chamber Orchestra, che si esibisce regolarmente dal 2006 in vari festival di richiamo in tutta Europa. L’orchestra, composta di membri pluripremiati provenienti da quindici Paesi, ha sede nella celebre Eroica-Saal di Palazzo Lobkowitz a Vienna. Wabnic ha fondato Capella Czestochoviensis, di cui è stato Direttore artistico dal 2006 al 2012. Nel 2013 ha fondato con i fratelli Sándor e Ádám Jávorkai il Trio Huberman; inoltre è direttore artistico di Capella Claromontana, uno degli ensemble più antichi al mondo (risale al 1572), che si dedica alla riscoperta della musica dimenticata del Barocco polacco ritrovata negli archivi del monastero di Częstochowa. Ha stretto intense collaborazioni musicali con artisti quali Aleksandra Kurzak, Bobby McFerrin e Andreas Scholl e con importanti compositori quali Arvo Pärt e Krzysztof Penderecki. Recentemente è stato chiamato a esibirsi in sedi prestigiose come la Carnegie Hall di New York, il Musikverein di Vienna, la Sala Čajkovskij del Conservatorio di Mosca, il Teatro Amazonas di Manaus, in Brasile, la Suntory Hall di Tokyo e il Concertgebouw di Amsterdam. Durante l’estate 2020 si è esibito, insieme a Roberto Alagna e Aleksandra Kurzak, nella serie “Met Stars Live in Concert” e il 31 dicembre ha partecipato con Pretty Yende, Angel Blue, Matthew Polenzani e Javier Camarena al Gala di Capodanno della serie, trasmesso in diretta dal Parktheater di Augsburg.



Passioni e malinconie, slave e germaniche

Emanuele Franceschetti

Nel 1857, otto anni dopo la morte di Fryderyk Chopin, vengono pubblicate per iniziativa di Julian Fontana – pianista, amico del compositore e dedicatario di alcuni suoi lavori – diciassette melodie polacche, per voce e pianoforte, indicizzate col numero d’opus 74. Questo relativamente esiguo corpus di musica vocale, che nell’edizione del 1949 arriverà a comprendere tre ulteriori composizioni precedentemente escluse, abbraccia quasi un ventennio (1829-1847) della produzione chopiniana, pur se in maniera discontinua. Le liriche adottate e musicate da Chopin appartengono all’alveo della poesia romantica dell’Europa dell’Est (Polonia e Ucraina, per lo più) della prima metà dell’Ottocento (in particolare Stefan Witwicki, Józef Bohdan Zaleski, Zygmunt Krasiński, Adam Mickiewicz) e ne mantengono la limpida e malinconica chiarezza espressiva. Gli esiti musicali, com’è lecito immaginare se si considera la natura non sistematica delle composizioni, sono piuttosto eterogenei: laddove in Życzenie (1829) a prevalere è lo slancio sognante e amoroso del poeta (che si immagina ora sole, ora uccello), brillantemente espresso da una mazurca spigliata e dai felici disegni melodici, in Melodya (1847) sono immagini di lontananza e rassegnazione a determinare una scrittura musicale più ricca di ambiguità armoniche, cromatismi e diffuse inquietudini. Nonostante l’occasionalità di queste pagine, e pur attestandosi queste al di qua delle complesse elaborazioni ritmico-armoniche delle maggiori composizioni pianistiche, Chopin riesce a imporre alle melodie polacche un gusto per l’intima franchezza, senza mai cedere a ingenuità o banalità di sorta.

Un rilievo maggiore, specie dal punto di vista della ricezione e della diffusione, lo possiedono le oltre cinquanta mazurche composte da Chopin tra il 1825 e il 1849. Brillantezza ritmica e ricchezza d’invenzione, pur nell’apparente semplicità di scrittura, rendono le mazurche chopiniane popolarissime, nonché oggetto di interesse di altri musicisti e compositori. Oltre a Liszt – che, peraltro, contribuisce all’ambiguo mito della componente folklorica delle mazurche – anche Pauline Viardot (1821-1910), cantante e artista parigina tra le più celebri del diciannovesimo secolo, si dedica alle mazurche di Chopin, adattandone dodici come liriche per voce e pianoforte, con l’aiuto del pittore e poeta Louis Pomey e con il consenso, sembra, dell’autore stesso: in occasione delle cui esequie funebri sarà proprio la Viardot a interpretare il Requiem mozartiano.

Ben altra rilevanza, rispetto a Chopin, è accordata da Robert Schumann all’intonazione musicale di testi poetici: nel Lied, annota un ancor giovane Schumann nei suoi appunti, il poeta e il compositore diventano una cosa sola. Il 1840 è il vero Liederjahr di Robert Schumann: vengono portati a termine, solo per citare alcuni tra i più rilevanti, il Liederkreis op. 24 (su testi del prediletto Heine), l’op. 39 (su testi di Eichendorff) e l’op. 48 (Dichterliebe, sempre da Heine). Tra i cicli più significativi, anche per ragioni legate alla biografia del compositore, vi è indubbiamente anche il ciclo Frauenliebe und -Leben (op. 42, 1840), composto da Robert Schumann su liriche di Adalbert von Chamisso, i cui testi erano già stati musicati da Carl Loewe e Franz Lachner prima di lui. Le pagine dell’op. 42 di Schumann trovano la loro forza unificante – e la profonda ragion d’essere – nell’eccitazione affettiva dovuta al realizzato sogno di nozze con Clara Wieck. Terminati gli anni dell’intenso laboratorio pianistico, cui appartengono alcune delle sue più celebri pagine, Schumann si immerge nelle possibilità della scrittura sinfonica e vocale, sempre all’insegna di una profondità e pluralità di sguardo resa possibile da un apprendistato multiforme, in cui la vocazione letteraria e quella critica fiancheggiano quella musicale; “Tutto ciò che succede nel mondo, politica, letteratura, umanità, mi eccita […], ogni fatto curioso dell’epoca mi prende e lo devo poi esprimere musicalmente”, scrive Schumann nel 1838 in una lettera a Clara. Nei testi di Chamisso scelti da Schumann, l’io lirico – il punto di vista, si badi bene, è quello della sposa – assume uno sguardo lieto, talvolta persino gioioso ed esultante, a esclusione del n. 8 (An meinem Herzen), in cui il gaudio amoroso si trasforma in un’accettazione della morte.

Le tensioni e i contrasti, le accensioni e i tremori, tuttavia, riescono a emergere grazie al discorso innescato dal pianoforte (non limitato, com’è noto, alle funzioni d’accompagnamento), e a una sapienza ritmico-armonica che, al netto della circostanza lieta e della freschezza dell’ispirazione, rivela bene la ricchezza affettiva della tavolozza schumanniana, capace anche di cupezze improvvise: non è un caso che, nel brano già menzionato (il n. 8) riemergano alcuni motivi musicali del primo, producendo un effetto di sinistra e “circolare” malinconia.

Ed è proprio la malinconia – lo struggimento del crepuscolo – il sentimento dominante, e perfettamente evocato nella musica, dell’op. 91 di Johannes Brahms, i Due Lieder per contralto, viola e pianoforte. Portati a termine tra il 1878 e il 1884 (anche se una prima versione di Gestillte Sehnsucht risale al 1864) vengono inizialmente destinate ad Amalie Weiss, cantante e moglie del celebre violinista e compositore Joseph Joachim, a lungo vicino umanamente e artisticamente a Brahms: è proprio la rottura fra i due, in seguito, che convince Brahms a rimandare la pubblicazione fino al 1884. Gestillte Sehnsucht (da Friedrich Rückert) e Geistliches Wiegenlied (da Emanuel Geibel, ma originariamente da Lope de Vega) condividono una stessa atmosfera espressiva, pur nell’evidente maggior caratura poetica del testo di Rückert rispetto alla ninnananna di Geibel: motivo unificante, se così lo si può nominare, è l’immagine del sonno come abbandono e oblio, come congedo dalle inquietudini o dalle fatiche del mondo. Non siamo ancora nei veleni della fin de siècle, e in Brahms è il nitore di forma e segno a prevalere, unitamente a un’espressione vocale piana, chiara, mai convulsa. Eppure, certe tinte brune offerte dalla viola in dialogo con la voce di contralto, una scrittura pianistica viva e mutevole fino all’agitazione (si pensi alla seconda strofa di Gestillte Sehnsucht) rivelano un Brahms, al solito, mirabile nei contrasti, tra un velo di tristezza e un’appena accennata tentazione di luce.

Rispetto a Brahms e Schumann, e in generale ai maggiori compositori di area germanofona, nelle pagine vocali di Pëtr Il’ič Čajkovskij sono stati spesso evidenziati i limiti delle scelte letterarie, così come la discontinuità dei risultati effettivi, non sempre all’altezza del compositore. Bisogna d’altra parte tener presente, a parziale comprensione di tale giudizio, che non di rado queste scritture vengono elaborate in momenti di denso impegno compositivo, e talvolta persino per necessità economiche, come nel caso dei sei brani dell’op. 6 (è lo stesso Čajkovskij ad ammetterlo, in una lettera del 1869 al fratello Modest). La composizione di brani per voce e pianoforte attraversa con costanza, in ogni caso, la maggior parte della vita di Čajkovskij, a partire dal 1869 fino al 1893, anno della morte. Un semplice raffronto tra le sei romanze dell’op. 6 (1869) e le sei dell’op. 38 (1878) permette di rilevare la temperatura espressiva delle due diverse circostanze. Nel secondo gruppo, rispetto ai brani dell’op. 6 si nota una più matura e articolata scrittura per la voce: le frasi melodiche sono più fluide ed elastiche, e riescono a interagire con maggior naturalezza con il pianoforte, in una felice unità di ispirazione. Non è un caso che To bylo ranneju vesnoj (op. 38 n. 2), su testo di Aleksej Tolstoj (come buona parte delle liriche di Čajkovskij), sia una delle poche romanze che abbia avuto buona fortuna già durante la vita del compositore.

In ultimo Den' li carit op. 47 n. 6, che dopo un'introduzione mesta e riflessiva, l'appassionata e plateale dichiarazione d'amore ha qualcosa di inaspettatamente operistico. Il brano ha forse qualcosa della scena della lettera dell'Evgenij Onegin, con un pianoforte che imita la pienezza del suono dell'orchestra.


Foto by Martyna Galla

Foto by © BresciaAmisano_Teatro alla Scala



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